David Benioff – La venticinquesima ora (2001)

oraMonty Brogan, affascinante e carismatico spacciatore, domani andrà in prigione, a Otisville, per scontare una pena di sette anni. Qualcuno lo ha tradito. La polizia ha bussato alla sua porta e ha trovato la droga. Sette lunghi anni di prigione. Fine della storia. Tutto ciò che il ragazzo ha costruito sulle strade di una grigissima New York, protagonista vivissima della storia, è andato in frantumi. Restano soltanto ventiquattro ore, ventiquattro ore da assaporare fino al midollo, da vivere con Frank Slattery e Jakob Elinsky, gli amici di sempre, e con la splendida Naturelle, la sua dolce fidanzata. Il libro è crudo, talvolta cinico, ma capace di suscitare emozioni profonde. Commuove, spaventa, cattura. La psiche dei personaggi è delineata alla grande e i dialoghi, diretti come in poche altre circostanze, rendono la lettura scorrevolissima. Amo queste pagine per la grande forza espressa, per il mix selvaggio di passione e al contempo di fredda lucidità. Poco da aggiungere, il romanzo merita molto, solo il titolo basterebbe. E merita molto anche l’omonima pellicola diretta da Spike Lee.

Stephen King – Misery (1987)

MiseryMisery è forse il romanzo di King che ho più apprezzato. Certo, non ho letto tutti i suoi lavori, non sono un suo fan sfegatato, ma ciò che mi appresto a recensire è davvero eccezionale. Ovvio, niente di nuovo o che già non sia stato detto; il lavoro è talmente celebre da poter essere considerato indispensabile per qualsiasi palato. Angoscia, paura, senso di impotenza e dolore riempiono ogni singola pagina, trascinando il “malcapitato” lettore nell’inferno vissuto da Paul Sheldon, il celebre scrittore protagonista della straziante vicenda, vittima di un brutto incidente stradale, salvato prima e sequestrato poi dalla tremenda Annie Wilkes. Diciamolo pure, trovare una figura più cattiva di Annie è, per usare un eufemismo, impresa complicata. Sì, perché l’agghiacciante infermiera turba molto più di qualsiasi altra creatura concepita in campo letterario: è un demone sadico e instabile, intelligente e imprevedibile. Complessa, ben delineata, da incubo. Per di più, l’ossessione che nutre per l’eroina Misery, personaggio a cui il povero Sheldon deve tutta la sua fama e, ahimè, la propria sfortuna, è così inquietante da rendere spesso insopportabile la lettura. Insomma, Annie è un mostro da 10 e lode, tutto da scoprire, capitolo dopo capitolo. L’agonia provata dal povero autore nel corso della lunga prigionia è narrata con una precisione tale da costringerci a entrare nel cuore della sua tragedia, nei momenti più cruenti della sua disperazione, nel bel mezzo dell’incubo. Una trama semplice, ma per nulla scontata; un livello altissimo di scrittura; horror allo stato puro; grande resa psicologica. Tutti elementi, questi, che rendono l’opera un patrimonio assoluto. Come dimenticare poi la recitazione di Kathy Bates nella versione cinematografica del 1990? Esagerata!

LA FRASE: Un uomo coraggioso riesce a pensare. Un vigliacco no.

 

Joe Lansdale – Acqua buia (2012)

In questo periodo ho abbastanza tempo libero da dedicare allo “scazzo” on-line. Di conseguenza, tra un lavoretto e l’altro, riesco a pubblicare con continuità le mie opinioni letterarie. Qui, tra poco, spazio a uno dei più grandi narratori americani degli ultimi decenni, un maestro, un peso massimo del noir-pulp.

Acqua buiaTexas, anni ’30, Grande Depressione. Sulle rive del fiume Sabine, la giovane Sue Ellen sta osservando il manesco padre e il perfido zio cimentarsi con illegali tecniche di pesca. Nulla di particolare, o almeno, fin quando le acque non decidono di restituire il cadavere di una ragazza, con una macchina da cucire legata ai piedi. Il corpo, gonfio e tumefatto, è quello di May Lynn, la più bella tra le amiche di Sue Ellen, che tanto sognava di diventare una diva di Hollywood. Trattasi di omicidio. Il ritrovamento non suscita però alcun interesse e precipita immediatamente nell’indifferenza totale. E’ proprio questa amara considerazione a spingere Sue Ellen e i suoi fedeli soci, Terry e Jinx, a dissotterrare la salma e a cremarla. Per onorare la memoria della bella fanciulla, pensano, non resta altro da fare che portare le sue ceneri in California, nella terra promessa del cinema. Ma l’impresa richiede soldi, molti soldi, e nessuno dei tre ne ha abbastanza. Un possibile rimedio alla questione giunge, come per magia, proprio da May Lynn, che nel suo diario segreto ha custodito una mappa, una cartina per raggiungere il bottino sepolto da Jake, il fratello rapinatore morto di polmonite. Che strano! Pochi interessati all’omicidio di un’adolescente e tanti interessati al profumo del cash…

Acqua buia è un signor romanzo, poche storie. La penna di Lansdale è tra le più complete in circolazione; sa divertire, sa spaventare, sa commuovere e, soprattutto, sa disegnare universi. Leggi e vedi tutto: il suo amato Texas, le sue paludi (con tanto di mocassini acquatici) e le sue strambe figure, quasi sempre collocate nei ceti più bassi della civiltà. Poche storie, Acqua buia è un signor romanzo, una vera odissea, una favola nera come la notte e calda proprio come l’estate texana. Tra queste pagine c’è davvero di tutto. Senza mai cadere nel banale e senza mai perdere il filo, Lansdale affronta con disinvoltura tematiche come razzismo, omofobia e adolescenza, immergendole in una trama grandiosa. I personaggi sono sublimi, destinati a essere ricordati a lungo. Sue Ellen, voce intelligente, forte e fragile al contempo, racconta il rocambolesco viaggio (la fuga), mettendo continuamente a nudo le proprie emozioni. Il risultato è eccellente. Da applausi la figura di Jinx, tagliente, disincantata, un vero concentrato di ironia e schiettezza. E benissimo infine i cattivi Sy Higlins, il poliziotto corrotto, e Skunk, il selvaggio assassino del fiume, puzzolente e ossessionato dalle mani delle proprie vittime. Potrei scrivere molto ed elogiare nuovamente la capacità di Lansdale di attraversare almeno quattro generi letterari in sole duecento pagine. Potrei scrivere ciò che penso di ogni singolo episodio raccontato. Potrei sottolineare la bellezza dei dialoghi. Potrei, certo, ma ogni mia parola non renderebbe comunque giustizia. Acqua buia è un signor romanzo, poche storie.

 

 

 

Peter Robinson-Black Dog (2006)

black dogCiò che mi ha spinto a leggere questo buonissimo noir è stato ovviamente il titolo, chiaro riferimento al celebre brano dei Led Zeppelin. A dire il vero, tanto per precisare, il nome dell’opera è stato cambiato appositamente per il mercato italiano (Piece of my heart l’originale, forse un omaggio al brano del 1967, interpretato anche da Janis Joplin). Poco importa: il libro mi è piaciuto e ha catturato la mia attenzione fino all’epilogo. La scrittura è ottima, le ambientazioni interessantissime e i personaggi sono disegnati egregiamente. Elementi del tipo basterebbero eccome, ma la forza più grande è data soprattutto dalla capacità dell’autore di raccontare e di sviluppare in parallelo due indagini molto intricate. Sì, i casi da risolvere sono due, apparentemente scollegati l’uno dall’altro. I salti temporali si susseguono in maniera forsennata, tenendo il lettore sempre incollato alle pagine.

Settembre 1969: Il primo festival rock all’aperto dello Yorkshire si è appena concluso e i Mad Hatters hanno infiammato il pubblico con la loro musica. Dopo la mitica esibizione, tutti sono tornati a casa e l’area si è rapidamente svuotata. Restano ora solo fango e rifiuti di ogni tipo. Fango, rifiuti, ma anche un sacco a pelo. All’interno, beh, niente meno che il cadavere di una ragazza, Linda Lofthouse. E’ il rigido ispettore Stanley Chadwick a occuparsi della faccenda.

Ottobre 2005: L’ispettore Alan Banks sta lavorando sull’omicidio di un giornalista musicale, un certo Nick Barber. L’ipotesi di un delitto passionale evapora del tutto, quando l’ispettore scopre l’interesse della vittima per i Mad Hatters. Il caso Barber e quello Lofthouse si rivelano, passo dopo passo, sempre più vicini tra loro.

Dunque, un thriller immerso nello stravagante universo rock degli anni ’60 è già di per sè una gran cosa, originale e suggestiva, ma se al pacchetto vengono aggiunte figure forti come quella di Banks (personaggio quasi sempre presente nei romanzi di Robinson) e di Chadwick, beh, si sfiora la perfezione. I due ispettori sono diversissimi tra loro, ma entrambi riescono a entrare in sintonia con chi legge. Sono personaggi di grande umanità, che presentano pregi e difetti in egual misura. Le vicissitudini personali di entrambi sono ben narrate e riescono a giustificare gran parte delle loro decisioni. Bene anche gli altri attori principali, da Annie Cabbot, partner di Banks, a Robin Merchant, leader dei Mad Hatters. Un cast ben costruito, variegato e vivo quanto i delitti raccontati.

Nulla da contestare. Black dog mi è piaciuto, mi è piaciuto molto. Rock band, droghe, eccessi, psichedelia, cultura hippy… Un gran bel thriller, sì, che fa venir voglia di Led Zeppelin e Pink Floyd.

Kevin Sampson – Rock Trip (1999)

Durante la stesura di Sonnifera, sul mio comodino, i mezzo a tanti altri, c’era anche questo. Ovviamente qualcosa finì dentro le pagine. Come non ricordare?

Kevin Sampson, autore di questo “manuale discografico”, conosce bene il settore, benissimo. Specializzato in musica e cultura giovanile, ha scritto per varie riviste ed è stato il manager di una indie band di discreto successo, i Farm. Le sue esperienze si riflettono inevitabilmente nel romanzo, un libro molto british, che sputa rock da tutti i pori. La storia dei Grams, giovane band capitanata dal carismatico cantante Keva McCluskey, è narrata minuziosamente, dalla gloriosa ascesa all’inesorabile caduta. Sampson descrive in maniera maniacale l’industria delle sette note, attraversando con voracità i lati più ambigui dell’ambiente e colorando di eccesso ogni singola pagina. Stramberie, stravaganze e deliri si susseguono al massimo volume, sconvolgendo e divertendo al contempo. MTV, rivalità, corruzione e voglia di successo. Studi di registrazione, palchi e concerti. Tanto caos, quindi. Sesso, droga e rock&roll in abbondanza, ma anche infinite storie umane, capaci di dipingere freddamente rabbia, insicurezze e solitudine. I personaggi sono tanti, tantissimi, addirittura troppi. I più interessanti, a mio avviso, James Love, l’esuberante e perverso chitarrista del gruppo, e Guy de Burret, discografico annoiato, disilluso e ossessionato dall’etica artistica.

Ripeto, Rock Trip è una testimonianza viva e piuttosto fedele alla realtà, un ritratto tragi-comico dell’universo discografico moderno. Gli amanti della musica, in particolare del britpop, non possono non apprezzare il lavoro. No, impossibile per i puristi non scivolare nel frastuono assordante raccontato cinicamente dall’autore. D’altro canto, chi non nutre particolare interesse per i suoni, per i dischi o per i capricci di una band è quasi certamente tagliato fuori dalla lettura. Questo, ahimè, è un dato di fatto, che abbassa notevolmente il punteggio e che rende il romanzo un testo per pochi.

-LA CURIOSITA’: Il titolo originale del romanzo è Powder, ovvero lo stesso del disco d’esordio dei Grams.

 

Ryan David Jahn – Omicidio allo specchio (2012)

Altra lettura estiva in grado di entrare di diritto nella lista delle buone esperienze. Con enorme stupore, ho trovato molte similitudini tra questo lavoro e il mio Sonnifera. Forse la recensione ne risente un pochino, ma lascio ai possibili “passanti” ogni considerazione a riguardo…

Omicidio allo specchioPremessa: le pagine di questo romanzo sono tra le più belle e inquietanti che abbia mai letto. Complimenti all’autore. Omicidio allo specchio è un thriller psicologico drammaticamente freddo e claustrofobico. Ci si ritrova incollati alla prosa, colti da stranissime e spiacevoli sensazioni. L’intera vicenda è avvolta da un’aura oscura e sconcertante, al limite del digeribile. Ripeto, un autore davvero in perfetta forma, molto vicino ad alcune pellicole di Hitchcock, non certo l’ultimo arrivato.

Simon Johnson è un anonimo, mansueto e ordinario impiegato contabile, asociale e privo di ambizioni. Vive in uno squallido appartamento di Los Angeles e non ha praticamente amici. La sua apatica e paranoica esistenza viene improvvisamente sconvolta una sera, quando nel suo pessimo buco si presenta un misterioso individuo con tanta voglia di uccidere. Tra i due scoppia una breve ma intensa collutazione. Simon riesce ad aver la meglio. Tuttavia, fortuna o sfortuna, egli uccide involontariamente l’aggressore, un tizio che gli somoglia tantissimo. Per scoprire i motivi del tentato omicidio, il protagonista, spinto da un’isterica curiosità, decide di assumere l’identità del suo sosia, un mite e pacato professore di matematica. Johnson entra così nella nuova parte, assaporando fino in fondo la vita di Jeremy Shackleford…

Il resto, beh, un labirinto, una cella, un quadro esasperato, a tratti terrificante. La narrazione è rigida, glaciale, ma comunque piena zeppa di dettagli. L’ambigua psicologia del protagonista è descritta in maniera impeccabile, così come i tratti di tutti gli altri straordinari personaggi che compongono la tela. Cosa aggiungere, senza anticipare troppo? Semplicemente nulla. Il romanzo è da leggere, da inghiottire come una pillola amara, velenosa, spietata. Con stile, l’autore ha ridisegnato il genere, regalando ai lettori qualcosa di crudo e sconvolgente.

-LA CURIOSITA’: Omicidio allo specchio è anche il titolo di un film americano del 1987. Le due opere non hanno affinità e, giusto per la cronaca, l’omonimia è dettata esclusivamente dalla consueta (per me incomprensibile) “italianizzazione” dei titoli.

Stanley Pean-Zombi Blues (1996)

Aggiorno il blog (rimasto a lungo “scoperto”), dedicando due righe a questo romanzo. Lo acquistai diverso tempo fa, ma solo settimana scorsa, in vacanza, ho deciso di leggerlo.

Zombi blues

Zombi blues è un romanzo davvero particolare, ottimamente strutturato e dalla prosa pregevole. Lo stile dell’autore, nato ad Haiti e cresciuto in Canada, è piuttosto elegante, pieno zeppo di metafore e di richiami poetici, musicali. Quasi a dispetto di ciò, la vicenda narrata si rivela invece cupa e sanguinosa, inquietante e profondamente noir. Credo che la forza del romanzo nasca proprio dal conflitto tra delicatezza di prosa e violenza di trama. Il risultato è ipnotico, viscerale. Le tinte sono decise, ulteriormente arricchite dalla storia e dal folklore di Haiti, isola che il buon Péan ama e che disegna alla grande con gli occhi dei suoi personaggi.

Tutto inizia a Port-au-Prince, nel dramma della dittatura, quando una coppia di diplomatici canadesi si ritrova ad assistere alla morte di una giovane haitiana. La misteriosa donna stringe tra le braccia un neonato, il piccolo Gabriel, che i due decidono di salvare e di portare a Montréal. Dal prologo passano trent’anni circa. Gabriel ha rotto i rapporti con la famiglia adottiva ed è ora, nonostante i gravi problemi con la bottiglia, un prodigioso trombettista jazz, molto attivo con il proprio quintetto. E’ di fatto il ritorno del musicista in Quebéc, complice una tournée, a risvegliare vecchi fantasmi del passato e ad azionare tutto il flusso narrativo. L’antagonista in Zombi blues è il sadico e corpulento Minville, ex eminenza del regime haitiano, giunto a Montrèal con il fedele Faustin e con il tremendo Caliban, un grosso albino dall’aspetto demoniaco. Minville è cattivo, spietato e sta cercando qualcosa, qualcosa che ancora lega Gabriel, in arte D’ArqueAngel, ad Haiti…

In questo romanzo c’è molto, moltissimo. Amori proibiti, credenze vudù, situazioni politiche e suoni vengono miscelati con classe, capitolo dopo capitolo, fino a completare l’intero quadro. Probabilmente lo stile “massiccio” dell’autore potrebbe non convincere tutti, ma il libro, a mio avviso, ha valore da vendere e offre notevoli spunti di riflessione. Alcuni passi poi, e questo lo affermo da scrittore, sul piano tecnico sono addirittura straordinari, talmente belli da dover essere letti e riletti…

Stephen King-It (1986)

Aggiungo una nuova recensione. Ormai è un classico…

It cover

Non è per nulla facile dedicare qualche riga a questo tomo di 1300 pagine, entrato con prepotenza (ma con diritto) nell’olimpo della letteratura mondiale. No, non è facile aggiungere nuovi spunti di riflessione al capolavoro di King, reso ancor più celebre e inquietante grazie alla miniserie tv del 1990, con Tim Curry nei panni di Pennywise, il terribile clown. Ammetto di aver letto It in età avanzata, non molto tempo fa, decenni dopo l’uscita. Male, molto male. King non ha scritto soltanto un gioiello della narrativa horror, ma una vera e propria saga, capace di toccare una serie infinita di tematiche. Tra queste spicca senz’altro la brutalità delle fobie patite nel corso dell’infanzia, belve fameliche in grado di segnare e di condizionare inevitabilmente la crescita di un individuo. Il racconto si muove in un periodo di tempo che va dal 1957 al 1985. E’ la storia di sette ragazzini di Derry, cittadina immaginaria del Maine, diversissimi tra loro, ma accomunati dallo stesso orribile destino. Tutti, infatti, hanno incontrato It, una creatura mostruosa che, per nutrirsi, esce dal proprio sonno ogni 27-30 anni. Dopo la prima vittoriosa (o quasi) battaglia, i bambini, capitanati da Bill Denbrough, giurano con il sangue di tornare a Derry per affrontare It in caso di ritorno…

Come scrivevo, riassumere in poche righe la montagna di emozioni, di storie, di intrecci, di violenze e di drammi presenti in questo grandioso romanzo è difficile, quasi impossibile. It è un testo impegnativo, ma da leggere assolutamente. E’ uno di quei libri capaci di segnare profondamente la “carriera” di un lettore, non tanto per la trama, comunque splendida, ma per lo strabiliante potere introspettivo. Una volta terminata la lettura si ha come l’impressione di aver “salutato” a malincuore sè stessi. Perchè forse siamo davvero bambini travestiti da “grandi”, con gli stessi identici demoni di un tempo, demoni ai quali, in età adulta, possiamo soltanto attribuire un nome più preciso, dettato da una maggiore consapevolezza.

Difetti del romanzo? 1300 pagine sono 1300 pagine, forse un po’ troppe, data anche la mole infinita di personaggi e di intrecci. Per il resto, premesso che questo è un horror-fantasy, semplicemente “tanta roba”, e per tutti i palati.

-LA FRASE: E quasi per sbaglio Eddie scoprì una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri sono gli adulti.

-LA CURIOSITA’: In una pagina del suo libro lo scrittore inserisce il nome di un personaggio di Shining: il cuoco di colore Dick Hallorann che, grazie alle sue doti paranormali, riuscirà a salvare alcuni dei suoi amici (tra cui il padre di Mike Hanlon) dal terribile incendio del Punto Nero, una scalcinata locanda adibita a luogo di ritrovo per persone di colore.

 

Jim Nisbet-Iniezione letale (1987)

Tempo: il colpevole è sempre lui. La mia intenzione era quella di recensire, tra un aggiornamento e l’altro, i romanzi apprezzati nel corso degli anni. Tuttavia non ho pubblicato molto. Tempo: il colpevole è sempre lui…

Cercherò di rifarmi…

Jim Nisbet-Iniezione letale

Texas. Prigione. Il dottor Royce ha il compito di iniettare “la fine” ai detenuti condannati a morte. Un lavoro orribile e noioso, sconvolto però dall’ultima esecuzione, quella di Bobby Mencken, un nero accusato di aver ucciso una donna durante una rapina. Sconvolto, sì, perché forse Bobby, ormai giustiziato, non era colpevole. Il medico, alcolizzato e perennemente in lite con la moglie, decide di raggiungere Dallas per scoprire la verità. Qui incontra Colleen ed Eddie, rispettivamente amante e miglior amico di Bobby, oltre che piccoli e ambigui criminali. Entrambi sanno cosa è accaduto la notte dell’arresto di Mencken. Senza nemmeno accorgersene, Royce si ritrova presto coinvolto in un vortice perverso, fatto di alcool, droghe e sesso…

Questa la trama del romanzo, un hard-boiled crudo e feroce, scritto in maniera magistrale. Nisbet ci porta nel centro dello squallore, nei bassifondi della condizione umana, in un turbine ambiguo, misero e violento, così, senza perder tempo. Iniezione letale è un concentrato amarissimo di vita, che non offre particolari risposte, semplicemente immagini dolorose come un pugno nello stomaco. Molto bella la prima parte, quella dedicata agli ultimi istanti di vita di Bobby.

Non un capolavoro, forse, ma di gran valore artistico.

 

Tyler Knox-Lo strano caso dello scarafaggio che diventò uomo (2008)

ScarafaggioPescai questo libro diverso tempo fa, promettendomi di leggerlo quanto prima. Tuttavia, causa ispirazioni differenti, ho preso in considerazione il romanzo diversi mesi dopo l’acquisto. Mea culpa! Il lavoro di Tyler Knox, pseudonimo dell’avvocato americano William Lashner, è davvero interessante. Presentato in quarta di copertina come il capovolgimento de La metamorfosi di Kafka, il libro si distingue per originalità, vivacità e stile. New York, anni ’50. Uno scarafaggio, del tutto appagato dalla propria natura, un dì qualunque si sveglia uomo. Inizia così la storia di Jerry Blatta che, una volta entrato nella dimensione, diventerà sempre più autonomo e disinvolto tra i nuovi, assurdi e controversi simili. Ad affiancarlo nella vicenda Acaro, piccolo e scaltro criminale in lotta con sè stesso, e Celia, una donna storpia piuttosto repressa. Knox ci regala una gangster story divertente, frenetica, azzeccata e a tratti Tarantiniana. La scrittura è semplice, veloce, ma non per questo poco intensa o banale, anzi. A livello stilistico ho apprezzato tantissimo l’alternarsi, tra un capitolo e l’altro, dei tre principali e differenti punti di vista che, insieme, offrono un quadro ricco e colmo di dettagli. “Lo strano caso…” è un’opera accattivante, carica d’azione e di situazioni ambigue che, a mio avviso, meriterebbero anche un’opportunità sul grande schermo…

-LA FRASE: Tutte le persone della foto fanno qualcosa di strano con la bocca. Fissando nello specchio, Scarafaggio allarga la bocca in modo da mettere in mostra i denti che ha attaccati alle mandibole.